Non credo possa esistere un animale più maschio e filosofo del cane
(anche e forse soprattutto quando è un esemplare femmina); e come ho già detto altrove, lo Zibaldone di pensieri
inizia non a caso con l’immagine di un cane che
abbaia solitario nella notte (Leopardi, con la penna in mano, non iniziava né terminava mai niente a caso, nemmeno quando si divertiva a sbeffeggiare di fronte a un Ranieri esterrefatto, quella mediocrità del Tommaseo (che aveva Leopardi in antipatia) e riportava giocosamente le parole di Vincenzo Monti: “così come diceva il Monti, al Tommaseo fumano i tommasei”).
abbaia solitario nella notte (Leopardi, con la penna in mano, non iniziava né terminava mai niente a caso, nemmeno quando si divertiva a sbeffeggiare di fronte a un Ranieri esterrefatto, quella mediocrità del Tommaseo (che aveva Leopardi in antipatia) e riportava giocosamente le parole di Vincenzo Monti: “così come diceva il Monti, al Tommaseo fumano i tommasei”).
Soltanto per una vaga associazione di idee si è oggi inclini
a chiamare cinico chi non risparmierebbe mezzi nella sua corsa disperata,
ossessiva, nevrotica e quasi piscotica al possesso di beni materiali o chi non saprebbe astenersi, in una banale conversazione, da commenti al vetriolo, carichi di
quell’apparente, sfacciata insensibilità all’etica, alla morale: in effetti cinico è diventato, nel linguaggio comune, molto banalmente, sinonimo di
“cattiveria”, sicuramente per quella tendenza degli antichi cinici – sia che il nome richiami la nota sfacciataggine del cane, sia che venga dal Ginnasio Cinosarge, che comunque sempre a cane rimanda – a disprezzare tutte le convenzioni
umane per perseguire soltanto, tramite la virtù,
la vera felicità.
Un discorso, questo, che apparterrebbe alla “fortuna” delle
parole, che hanno un loro sviluppo e “progresso” e il cui uso potrà col tempo risultare totalmente
indipendente dalle origini (così come ad esempio in filosofia il termine monade – lasciando da parte l'uso che ne facevano gli antichi nella definizione del principio da cui deriva il numero, o anche per indicare
le idee in Platone – venne usato da Giordano Bruno non in contraddizione col platonismo ma per indicare qualcosa di già differente dalle idee: il minimum,
la particella spirituale indivisibile e
costituente di tutte le cose, il minimo comun denominatore spirituale, l’unità
della materia spirituale inestensibile (e nello stesso senso sarà utilizzato
dal neoplatonico More nell’Enchridion Meetaphysicum del 1679, quando conierà
l’espressione monade fisica (ancora
elemento unico primario spirituale); significherà poi per Leibniz non più il minimum comune a tutte le cose ma la sostanza spirituale, o meglio: il suo atomo
spirituale, che non può essere uguale a un altro perché in natura nessun essere
è uguale a un altro (insomma tante monadi quante sono le sostanze spirituali);
e da Leibniz, Husserl lo prenderà e adatterà nella sua critica alle meditazioni
cartesiane – e traduco direttamente dal tedesco: “Il mondo oggettivo, nella sua
costituzione, richiede essenzialmente un’armonia di monade, e per essere più
precisi: una costituzione armoniosa particolare
per ciascuna monade, e conseguentemente una genesi che si realizza con armonia nelle monadi particolari”. Dal che evidente, dall'uso di quel "particolare",
quanto ci si sia allontanati non solo da Pitagora, Aristotele e Platone ma
anche dalla concezione a metà strada tra fisicismo e spiritualismo di Giordano
Bruno, e dalle sue due opere de Monade
e de Minimo, entrambe del 1591. E
lasciamo perdere l’utilizzo del termine monade
in matematica, nella musica, e in informatica, con l’uso che ne ha fatto più recentemente
Eugenio Moggi in logica, quale
elemento di calcolo (struttura di dati
con stato associato) quando si voglia provare l’equivalenza di due o più programmi: usi che non ci azzeccano
quasi più niente con le origini se non forse per il concetto di unità.
Ma l’immagine del cane al guinzaglio in “paziente” attesa del padrone perso in chiacchiere infinite con un conoscente appena incontrato per
la strada, oppure del cane sdraiato per ore col muso poggiato a terra e lo
sguardo immobile, sognante, molto prossimo a quella imperturbabilità che era non solo dei
cinici ma anche degli stoici e in
generale delle scuole socratiche - lo
denuncia animale filosofo per
eccellenza. Animale maschio: tanto maschio quanto femmina è il gatto. Non per niente chatte – gatta – in francese sta
a indicare volgarmente l’organo genitale femminile.
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