C’è un magistrato italiano - un procuratore della
Repubblica, neanche un sostituto fresco di concorso ma proprio il capo di una
Procura - che va affermando che “La nostra è una certezza processuale basata su
prove scientifiche praticamente prive di errore”. Il che, detto e ascoltato così, è già un’emerita scemenza, una boiata lessa, e qualcuno
dovrebbe dirglielo. E’ tanto una
scemenza che perfino i periti che lavorano e hanno lavorato al caso che lo interessa
hanno dovuto dare i risultati con un evidente margine di errore, piccolo quanto si vuole
ma ineliminabile.
Mi ricordo il biennio di fisica, che feci a Roma, alla Sapienza, prima di
passare non so più se a miglior lidi, a lettere classiche. Uno dei corsi del primo anno era Sperimentazioni
di fisica 1, detto volgarmente da noi studenti “Fisichetta”. A parte le
lezioni in aula, si passavano molte ore in laboratorio a fare misurazioni –
soprattutto il diametro di palline da ping pong, la sezione di aghi e di altre
cianfrusaglie simili, il tutto per poter imparare poi ad applicare le formule della
cosiddetta teoria degli errori. Non
esistono proprio misurazioni senza errori, nemmeno nella fisica atomica o nucleare. E il principio di indeterminazione di Heisenberg dice addirittura che di due famose grandezze, tanto più precisamente vorrò misurarne una tanto più incerti saranno i risultati della misurazione della seconda
Inoltre qualcuno dovrebbe riferire a questo magistrato che dire “praticamente prive di errore” è
un'ulteriore boiata logica all’interno di una boiata concettuale: un qualcosa (una formula, una proposizione, un'analisi ecc.) è sempre o semplicemente privo di errore o ne
riflette almeno uno. Non è ”praticamente”
privo di errore.
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