lunedì 30 giugno 2014

La griglia di Kierkegaard e le ghiande di Wittgenstein




Alessio Sbarbaro, Barbecue - Wikipedia


Kierkegaard possedeva, dell’entomologia, una visione allargata: più estesa di quella che avevano immaginato i suoi fondatori (di sicuro Aritstotele se ne dilettava, e anzi sarà stato lui il primo a usare il termine entomon). Vi includeva, Kierkegaard, come oggetto di studio, gli ominidi: un'estensione che da allora non smette di essere suscettibile di ulteriori ampliamenti e correzioni, adattandosi a ricevere le nuove categorizzazioni, le nuove divisioni sociali e sociologiche - a patto che la funzione primaria di alcuni insetti
(che chiamino se stessi in un modo piuttosto che in un altro non fa differenza) resti la stessa: che è quella di succhiare linfa a un organismo ospite.

Che Kierkegaard avesse una concezione alta di sé come pensatore e come scrittore, e che questa concezione poggiasse su solide fondamenta, riconosciute tali anche ai suoi tempi, è un fatto che dovrebbe quasi andare da sé:

“Che io avrò rinomanza questo non lo può negare nessuno, nemmeno il più acido dei miei nemici potrà farlo”,

che si legge in effetti nell'edizione danese del suo monumentale diario (3244); ma un quallche dubbio sulla precisa posizione che nella memoria dei posteri si troverà ad occupare tra gli altri pensatori è lui stesso che lo solleva, se immediatamente di seguito aggiunge:

"comincio però a prendere atto che forse avrò una rinomanza di un genere completamente differente da quella a cui avevo sempre creduto: se per caso non mi verrà la fama di  n a t u r a l i s t a,  e questo per avere scoperto, o comunque per aver dato un contributo notevole, alla storia di un genere particolare di insetti: i  p a r a s s i-  t i."

Un tono "dissacrante" non troppo distante da quello di altri pensieri forse meno ironici ma non meno incisivi finiti ugualmente nel diario (l'aborrire "questi briganti di mezza cultura", "la cosiddetta gente assennata", "preferisco piuttosto parlare con le vecchie zitelle e coi dementi ecc.). E anche dove più in generale è oppresso dal senso del mondo in generale:

"l'intera esistenzza mi angustia" (348)

non riesce mai a tener fuori del tutto, dalle sue considerazioni, il mondo dei più piccoli:

"l'intera esistenza mi angustia, dal più minuscolo dei moscerini al mistero dell'Incarnazione" (348).

 Se si volesse attribuire a Kierkegaard un merito particolare - per questa sua scoperta, questo suo vedere la sua opera in forma di contributo storiografico-entomologico – bisognerebbe riconoscergli che ha indicato una strada, ha fornito un metodo, una semplice griglia, un modellino usa e getta, nel quale i più dotati di ogni successiva generazione avrebbero potuto infilare questa o quest’altra categoria sociologica variamente “impegnata” nella scrittura e nella parola.  E poco importa che nel suo caso la bestia nera fossero esseri impegnati in un modo piuttosto che in un altro:

“voglio dire”, contitnua Kierkegaard, “i professori e i pastori. Questi parassiti voraci e sfruttatori che hanno addirittura la faccia tosta (che tutti gli altri parassiti non hanno) di volersi dare come 'i' veri amici e seguaci di coloro delle cui sofferenze si nutrono”.

Wittgenstein, di sicuro più irascibile di Kierkegaard, ci avrebbe messo, in questa griglia – cosa che in effetti fece (e poteva non essere?) - tra gli altri anche lui i professori, ma introducendo una differenza di specie, e non limitandosi a usare oziosamente il modello Kierkegaard ma apportando una leggera modifica alla struttura, risalendo dal campo dell’entomologia a quello più generale della zoologia  e della Sacra Scrittura, cosa che annuncia ad esempio in una lettera a von Ficker (21.11.1919), frustrato dai continui rifiuti e rimpalli che il suo manoscritto del Tractatus subisce:

“Per quello che mi riguarda, lei può mostrare il manoscritto a quel professore di filosofia a cui accenna, per quanto sottoporre un’opera di filosofia a un professore di filosofia non vuol dire altro che dare perle in pasto a …”

Oggi, a parte i professori e il mondo accademico in generale, compresi i cosiddetti "scienziati" - a cui fin da piccoli hanno fatto credere che nell'empirico valga l'equazione scienza = verità piuttosto che scienza = scopo, ci sarebbe da fare i conti soprattutto coi giornalisti, sia i piccoli mestieranti, che quelli che vanno per la maggiore e dirigono, con spirito apparentemente di servizio pubblico, giornali e testate televisive o che comunque si muovono in prossimità del vertice, e dei quali mi sono già espresso in parecchi luoghi. D’altronde non credo esista professione, oltre a quella dei banchieri e correlati, che più di altre non vive del suo ma solo di quanto succede agli altri o viene mosso, prodotto, sofferto dagli altri.

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