venerdì 4 luglio 2014

l'abbraccio e la paura



L’abbraccio tra due delinquenti, due spietati killer, due pericolosi malavitanti non è il segno di un residuo granello di umanità: semmai, caratteristica più propria all’umanità è l'essere feroce, spietata. L’abbraccio, i baci, le manifestazioni di affetto tra due criminali non sono altro che il segno di una paura che cova, il pegno di un legame di protezione. In altri termini è pura retorica. Opera continua di persuasione.

Lo stesso può dirsi dell’abbraccio in generale, dei baci, delle manifestazioni di affetto tra parenti, amici. Sono semplicemente un simbolo. La sostituzione di un linguaggio, quello delle emozioni, con un altro, quello gestuale rappresentativo di queste emozioni. Il simbolo della strutturale debolezza biologica dell’individuo, e della sua conseguente fragilità emotiva. Quindi la manifestazione sociale della sua piena solitudine. Paradossalmente è meno solo chi è solo (ma con se stesso) che chi partecipa di un legame affettivo: costui non è né solo né "non solo". Se così non fosse, l’individuo non avrebbe bisogno di sentirsi rassicurato e di rassicurare. L’abbraccio, i baci, sono la manifestazione di un’isteria. Dell’essere pietrificati di fronte all’incertezza. Sono il segno del limbo perpetuo nel quale si muove l’individuo: non si è né all’inferno né in paradiso.

L’amicizia è un rito apotropaico, il cui scopo sarebbe lo stesso del corno portafortuna che usano i napoletani.

I popoli caratterialmente più marziali sono quelli che si sottraggono, fin che possono, alle manifestazioni di affetto – vedi ancora oggi gli inglesi. O vedi un atteggiamento tipico delle loro classi dirigenti, dell'establishment: "sono stato educato così,  a nascondere i miei sentimenti". E questo, a sua volta, è pura tattica.

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