venerdì 26 settembre 2014

tutti sulla stessa barca: confusione vs ipocrisia

Di quelle noiose competizioni della terza sofistica, nel quarto secolo, che dovevano somigliare sempre più alle conferenze e tavole rotonde attuali, alle relazioni accademiche nei vari convegni, Libanio è indirettamente critico: ma è una critica limitata alle capacità oratorie dell'avversario, il sistema non viene minimamente intaccato. Così nella sua autobiografia (la prima orazione del corpus), a proposito di un altro professore, suo antagonista a Costantinopoli, scrive che non riuscendo il pubblico a capire cosa stesse dicendo, ognuno guardava gli altri più distanti come a chiedersi se fossero tutti sulla stessa barca (συνεῖναι αὐτὸς ἕκαστος οὐκ ἔχων, νεύμασι τοὺς ἀφεστηκότας ἠρώτων, εἰ τὸ αὐτὸ πάθοιεν. I, 41).

Che è quanto succede ancora oggi quando si ha paura di essere l'unico deficiente a non capire cosa stia dicendo uno (o una) che parla in un convegno, in televisione, in un talk show. Anche se alla fine, in qualche modo, sono tutti pronti a battere le mani, pure chi non si sente ideologicamente affine (e la cosa è seria), cioè non si applaude sempre per bontà o per cortesia, o meglio, per ipocrisia, come sembra aver fatto Libanio con questo Benarchio intellettuale dedito alla crapula, cioè allo sgomitamento:

e anch'io, anche se provavo la stessa cosa degli altri, mi sforzavo di conferire, applaudendo, opinione di chiarezza al suo discorso facendo perciò cosa gradita al suo gruppo (καὶ ταὐτὸ τοῦτο τοῖς ἄλλοις ἐγὼ παθὼν σαφηνείας δόξαν οἷς ἐθορύβουν ἐπειρώμην περιάπτειν τῷ λόγῳ χαριζόμενος τῇ φάλαγγι).


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